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Venere e il Satiro Amante


Concentrica armonia dei sensi,
senti pulsare
vicino le profumate viole,
con agreste impeto di viride corde,
per innaffiar della mia morte
le cineree note.

Acustica evanescenza,
dalle ninfali siringhe
sento fremere,
mentre si adagian
sui tuoi gonfi seni
le mie stanche membra.

Con fecondo e
pregnante incantamento,
al termine volge
il corso della mia sorte,
cullata sulle gambe di Venere,
la morte;

Alta e snella,
delle sinuose forme
ogni suo spasmo colgo;
colto con parossistico consenso
della sua vanità e avvenenza,
per lambire del mio amore
gli opachi rifugi.

Tal corpo, sfiorato
dai crepuscolari riflessi
come un petalo
di bianca rosa,
mi sovviene innanzi
al pallido guardo,
come di cerbiatto trafitto:
come lattiginoso nettare
che nei fiumi dell'Olimpo scorre,
mentre oscùra, in eterna eclissi,
di un satiro amante
le false speranze.


Né un pentelico fiore
della città di Atene
né le preponderanti chiome bianche
della Foresta Sacra,
riescono in stretta alleanza,
a concorrer con la marmorea
bellezza del tuo essere;

Morbide nelle tue forme,
le tonde guance carnose,
presuntuose e d'impurità assenti,
si elevano e fan concorrenza
alle asperità lunari,
facendo essa risembrar dell'Erebo
un effimero astro.

Le trecce sbiadite
dal Sole irriverente,
si arcuano in danza
ipnotica e suadente,
posandosi sulle sue spalle
come manto notturno
che del giorno la fine attesta,
forse la fine di un amor diurno;

Ora si dimenano
ora si agitano
con parsimonia
in unico movimento
che accompagna il soave canto,
alla Venere Urania dedicato.

Dimeno la testa, di natur cornuta,
tra le tue cosce,
mentre assaporo dell'ebbro nettare
dei sensi, ogni singulta stilla;

Ansimo e sospiro
d'ogni madreperla,
il madido cenno, per morir
con un sorriso in bocca,
turbato da un elisir d'amore
che sol con compiaciuto omaggio,
colei che dispensa beltade dar può.


Ancor per poco,
passionale e selvaggio,
per sopire dei miei desideri
l'illibato abbandono,

spenti gli occhi,

pongo sulle tue vesti febee
l'arco di un'intera caccia;
e qui, sto, a scrutar
come stanco segugio
tra le boscose foglie
della tua virtù,
l'ambita preda.

Odo, adesso, l'ombra di Pane
volteggiare sulla mia testa,
per sfrondar di ogni senso
il seme della tua bellezza;
in codesta giornata infausta,
il mio intelletto tra le tue gambe
si spegne, dopo aver
con prosperoso dito,
dipinto sulle mie labbra…
il sapore della morte.

Venere ardita,
del fauno
la vertute colse,
gettando alle fosche acque
di frigida passione,
i fecondi resti…

Venere ardita,
del fauno
la vertute colse,
spargendo
alle fertili ninfe
sue sorelle,
della caccia d'amor,
l'ambito trofeo.




(da "Eidyllion", Fabrizio Corselli)








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